” Steve Jobs ” di Walter Isaacson
È uscita la prima biografia autorizzata di Steve Jobs. Il libro di 656 pagine, dal titolo Steve Jobs è il frutto di 40 interviste che il cofondatore di Apple ha concesso all’autore del libro
, ex direttore di Cnn e di Time già autore, tra le altre, di biografie di Benjamin Franklin e Henry Kissinger e Albert Einstein. Edito da Simon&Schuster il libro è frutto della cooperazione di Jobs, che però non ha voluto avere nessun controllo sulla pubblicazione, né riservarsi il diritto di leggere la biografia prima dell’uscita nelle librerie. Quando Isaacson finì di scrivere il libro, Jobs gli chiese se ci fossero delle cose che non gli sarebbero piaciute. Isaacson disse di sì, al che Jobs rispose: «Va bene, allora non lo leggerò appena uscirà, ma aspetterò almeno un anno e mezzo». Ma Jobs è morto il 5 ottobre, stroncato dal cancro, senza essere riuscito a leggere la sua biografia. Ieri in un’intervista al programma 60 minutes in onda sulla rete Cbs, Isaacson ha anticipato parte del contenuto del libro e ha raccontato la sua nascita. L’idea della biografia era venuta a Jobs stesso che aveva incontrato Isaacson nel 2004. All’epoca l’autore rifiutò la proposta di Jobs, perché «non era ancora il momento», ma nel 2009, poco prima che Jobs fosse operato al fegato, ricevette una telefonata dalla moglie del fondatore di Apple, Laurene Powell, che lo avvertì: «Se vuoi scrivere un libro su Steve sarà meglio che tu lo faccia ora». Dopo che nel 2004 gli era stato diagnosticato il cancro al pancreas, Jobs ha rimandato l’operazione per nove mesi, rifiutandosi di seguire il consiglio dei medici, per provare a trattare la malattia con una particolare dieta macrobiotica. «E’ stata una decisione di cui si è rammaricato in seguito», ha raccontato Isaacson. «Quando ha finalmente deciso di farsi operare, il cancro si era già diffuso nei tessuti circostanti», ha detto lo scrittore che ha descritto Jobs come una figura «molto motivata, eccentrica e a volte crudele che negli ultimi anni di vita è diventata più riflessiva e fatalista». Dopo aver scoperto di essere malato di cancro Jobs «non voleva più uscire o viaggiare per il mondo. Voleva solo concentrarsi sui prodotti di Apple. Sapeva che voleva realizzare l’iPhone e l’iPad e credo che gli sarebbe piaciuto conquistare la televisione», ha detto Isaacson. Tra i vari episodi raccontati a Isaacson, il fondatore di Apple ha ricordato quando da bambino aveva chiesto in lacrime ai genitori adottivi perché i suoi genitori naturali lo avessero abbandonato. «No, non è così, siamo noi che ti abbiamo scelto specificatamente», gli risposero i genitori. «Da allora ho realizzato che non ero semplicemente stato abbandonato, ma che ero stato scelto, che ero speciale», raccontò Jobs al suo biografo. «E questa è la chiave per capire Steve Jobs», ha detto Isaacson. Jobs è sempre stato un ribelle, come quando da ragazzo non amava farsi la doccia regolarmente e così i manager di Atari, la casa produttrice di videogiochi per cui Jobs lavorava nel 1974, avevano deciso di farlo lavorare durante i turni notturni, in modo che i colleghi non si lamentassero per «l’odore di Jobs». Tra le altre stranezze di Jobs c’era quella di guidare la sua Mercedes senza targa perché «non gli piaceva che la gente lo potesse seguire». Nel libro Isaacson ricorda quello che Steve Jobs gli disse sul tema dei soldi: «Non passò molto tempo prima che Apple divenne, almeno sulla carta, una miniera d’oro. Avevo 24 anni e la Apple valeva forse 50 milioni di dollari e io sapevo che non mi sarei più dovuto preoccupare dei soldi. Così sono passato dal non preoccuparmi dei soldi perché non ne avevo, a non preoccuparmene perché ne avevo troppi». Ma Jobs mantenne sempre i piedi per terra: «Ho visto molte persone qui alla Apple, specie dopo che ci siamo quotati in Borsa, come sono cambiate. Alcuni di loro hanno iniziato a comprare Rolls Royce, ville, a farsi fare interventi di chirurgia plastica. Ho visto queste persone, che erano persone molto semplici e carine, trasformarsi in persone molto bizzarre e lì mi sono fatto una promessa: non lascerò che questi soldi mi rovinino la vita». Di fede buddista, l’approccio di Jobs alla religione è cambiato con la malattia. «Una volta nel giardino di casa sua ci eravamo messi a parlare di Dio», ha ricordato Isaacson. «A volte credo in Dio e a volte no. Credo che ci sia un 50 per cento di probabilità che esista», aveva detto Jobs, «ma da quando ho il cancro penso a Dio molto di più e credo di più. Forse è perché voglio credere in una vita dopo la morte, che quando una persona muore, non tutto sparisce».